«Mantieni il silenzio,
affinché il nostro silenzio dica: “È lui l’origine della parola, il
Sultano delle parole”.
Rûmî, Odi mistiche,
1039
«Ogni essere
ha il suo Loto del limite», dice Semnânî, e spetta solo agli adepti
oltrepassare questo limite, a coloro tra i fedeli d’amore che hanno
raggiunto «l’esoterico dell’esoterico» dove l’Amore e le Conoscenza
cessano di distinguersi per formare una sola gnosi amorosa, «alla vetta
della gerarchia», quindi, «al principio comune» dal quale la via
dell’Amore e la via della Conoscenza «traggono i loro rispettivi
attributi». È così che si entra in questa Conoscenza dove «conoscere il
proprio Sé è conoscere il proprio Signore». È anche l’accesso al «puro
amore», in altri termini a quel «legame intimo che è estraneo al mondo
della natura». Ecco cosa ne dice Rûzbehân Baqlî: «Si sa tra gli uomini e
si comprende tra gli gnostici in che modo questo amore non sia corporeo,
ma che non sia altro che l’azione del Creatore quando vuole guidare un
eletto ai bordi dell’invisibile o del mondo del mistero, e lo proietta
nel sentimento innato di questa persona e le permette di vedere con gli
occhi dell’anima le bellezze delle opere divine»
Per ritornare al Loto del
limite, esiste un limite al di là del quale il fedele d’amore si
trova, «Qual è 'l geometra che tutto s'affige / per misurar lo cerchio,
e non ritrova, / pensando, quel principio ond’elli indige», come dice
Dante, nel suo ultimo capitolo della Divina Commedia (133-135).
Ma per chi ha raggiunto «il centro divino che è al di là di tutte le
sfere» :
«A l'alta fantasia qui mancò
possa;
ma già volgeva il mio disio e
'l velle,
sì come rota ch'igualmente è
mossa,
l’amor che move il sole e
l'altre stelle»
Ciò che segue quindi alla
visione dell’Angelo nell’esperienza dei fedeli d’amore
appartiene al Silenzio, a qual che si opera nel «segreto del segreto»,
che costituisce la parte più intima dell’essere. È la conoscenza del
«Maestro del Silenzio», che annuncia l’Angelo, ma come «qualcosa su cui
il mistico manterrà il silenzio». Questo Silenzio che è anche una
«immutabilità», prefigura in qualche modo l’accesso del fedele d’amore
all’Oceano divino, a quell’Oceano della Divinità che Ibn ‘Arabî chiamava
con i suoi voti: «Fammi entrare, o Signore, nelle profondità dell’Oceano
della tua unità infinita».
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